Marina Wiesendanger's
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  19/05/2005; 21.53.50


martedì 12 aprile 2005


 
 
Entrez lentement ( Le Corbusier)

E oggi sono invelenita, sarà questo tempo d’inverno, saranno i fatti miei ma ho voglia di prendermela ancora una volta con la stampa

Perché non è piu’ niente, in fatto di costume.
Si apre il Salone del Mobile a Milano, 25.000 inviti spediti nel mondo,  è interessante per tutti vedere come lavora   un settore qualificato e professionista, e pure internazionale. Una delle manifestazioni migliori di questa nostra decaduta città, una buona, ottima occasione di vita e di sveglia ragazzi.

Cosa c’è sul Corriere della Sera la vigilia della presentazione dei (tanti) lavori, lunedì 11 aprile?
C’è Lina Sotis con colonnina incorporata che parla, a mio avviso, a vanvera. Nella prefazione  ci promette  stravolgimento  in città  -  e non, in positivo,  spinta e innovazione e attualità -
Lo scrive con lo stesso spirito frivolo che usa per parlare di una festa tra potenti o una sfilata al top delle top, ci dice che si potranno intrecciare  nuovi, adrenalici amori.

Come secondo paragrafo mi sembra perso di impatto. E così’ anche la descrizione del popolo del design, dove “ le femmine sono quasi piu’ femmine di quelle della moda”. Che non è né vero né pensato. Scarpe basse jeans e maglie.

Come terzo, " Entrez lentement" è scritto sbagliato. Ma ho già letto, di altra giornalista, un commento alle sedie " tonné", sì, come il vitel  e non come l'austriaco architetto.

Mi dispiace sempre di piu’ questo tipo di stampa. Sembra un gioco privato e poco interessante tra  addetti poco interessati. In piu’, amo l’evento del design quando arriva, una volta l’anno, proprio per la città che abito, le fa bene vedere insieme tante soluzioni diverse, pensate e costruite, meno sfacciate e piu’ di senso e di peso che la kermesse della moda. Qui c’è la ricerca sociale e di cultura, e benedetti i Paesi esteri da cui gli architetti vengono,perché là succede ancora che questi sono appoggiati dal ministero preposto alla cultura moderna dell’habitat.
Non  succede da noi, e quindi il confronto è notevole, e chi emerge  senza aiuti  è un artista.

D’altra parte, si sa che le giornaliste piu’ potenti, quelle della moda, sono occupate nell’ultimo gioco di società che è di vendersi la moda tra loro.Si radunano nella casa di una di loro, e si vendono i reciproci vestiti. Complimenti. Hanno capito, gli è arrivato all’orecchio, della tendenza europea e americana del fenomeno vintage, che non vuole piu’ dire, ormai, toh una giacca anni cinquanta! Ma piu’ modernamente, toh il golfino dell’anno scorso, quanto mi fai?

E cosi’ fanno tendenza, ma non la annusano e non la scrivono, la esercitano tout court ma di nascosto. Per questo non faccio nomi, è un vizio ancora segreto. E mentre si preoccupano di occultare i loro business privati, ci sono riviste non italiane che pubblicano avendo come progetto l’analisi documentata di questo ultimo tipo di vintage, che vuol dire prezzi bassi e scambi veloci. Il meglio giornale da leggere è CHEAP DATE, inglese, dove professionisti lavorano gratis per dare il loro migliore prodotto di ricerca. E che riguarda anche l’habitat, che non puo’ piu’ essere disgiunto da nessuna epifania sociale. Svolgendo così al meglio e in modo lungimirante la professione.

Dietro a questo tipo di pubblicazioni, una serie di negozi a Londra, una enorme serie di negozi in America. Con numeri da vertigine e metri quadri infiniti, vedi lo spazio in ettari e il fatturato di Salvation Army per capire che è il fenomeno è qui tra noi e bisognerebbe parlarne da esperti sui giornali che , dicono, sono la nostra informazione a tema.

Non è che a Milano manchino gli esempi pratici. C’è un negozio sul Naviglio che si chiama Strascèè –che era quell’omino con carretto del dopoguerra che passava once a week a ritirare, a gratis, le vecchie cose di un guardaroba che cambiava drammaticamente. Due laurende moderne di testa hanno afferrato il futuro presente, individuato i gusti di grossi clienti americani, tedeschi francesi eccetera, che da loro si riforniscono ormai al telefono, certi che quello chericeveranno sarà proprio quello che si aspettano dal gusto strascè italiano. Tra i clienti con nome, Chanel ,da Parigi.

 Perché non ce le dicono queste cose? Perché non le sanno. Perché non le sanno? Perché vivono tutte insieme in unmondo che si sono create e non mettono fuori il naso, né il fashion editor lo pretende, occupato com’è a vendere costosissime impossibili pagine di pubblicità.

E sì che di vere signore perennemente in jeans a milano, con un sopra  chic che fu ( Kristensen p.esempio) o un chic design (Patafisic p.es.), ce ne sono a migliaia per le strade a milano. Sono o le piu’ ricche, o quelle che viaggiano di piu’ nei posti che contano.

 P.S. e parlando di jeans, sono quelli di Gap, che a Milano non è presente, ma nel resto del mondo sì. Quando entri lì e prendi in mano uno dei modelli di jeans,il commesso ti guarda e in silenzio ti porta quella misura che ti si pittura addosso, e ha un numero di 3 cifre che sarà il tuo passaporto .Finchè non ingrassi o dimagrisci, non lo devi  mai provare.
È  il tuo. E costa 43 dollari.

 

 

 


3:42:05 PM    comment []

© Copyright 2005 Marina Wiesendanger.
 


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