Sono stata a parigi berlino milano parigi. Gennaio febbraio, pezzettino di marzo.
Non ce la faccio più.
Fisicamente comoda, non è stato entusiasmante, anzi mi sono annoiata.
Ho visto gli stilisti bravi, erano veramente troppo pochi. Potrei fare un elenco, forse dovrei.
Mi fa impressione questo stato di noia, me lo dico a voce alta come faccio quando voglio capirmi.
E’ sotto questo umore che uso girare per casa di notte, per trovare i segnali ricevuti e parlare
con me.
C’è sempre il gatto che mi segue attento nelle stanze, io per lui devo usare dei “toni” perché il concetto detto piatto gli è più difficile capire.
Ma il suono mi traduce e se comincia a leccarsi le zampe vedo che mi sono spiegata. Così vado recitando per noi due al buio ogni tanto, stavolta è meglio se me lo vedo scritto, al gatto dirò dopo se gli cambio la vita anche a lui.
Speravo in una forte idea comune, la vecchia esperta Europa che sa di poter vincere solo
col progetto, non con mano d’opera. L’occasione non è ancora stata colta.
La peggiore manifestazione è stata a Milano, la sputo qui,
nel decaduto White. La musica impossibile, come sempre anzi di più.
Lavorare a un ordine non si riesce,gli standisti tutti furiosi come i clienti, assordati.
E quello che vedo non sarà il futuro del made in Italy.
La moda è un codice, non un pezzo di stoffa. Non riescono a formularlo, allora
ti tolgono il tessuto, ombelico un po’meno fuori, mini a fior di come dire culo.
Pochissimo spazio per les créateurs, e nel mercato la paura tutto appiattisce, diventa commercio
che ha fretta, e si vede, di dare un’ ultima botta da one million strass,
di incassare prima dell’invasione cinese, che, per chi se lo chiedesse, è già qui
(“stridono le infinite ciabatte di Pechino”, si dice in Turandot, si parlava già di dumping!?
e si moltiplicano per l’800% sui mercati europei. Non a caso la superga produce là
le sue belle scarpe italiane.)
.
Per dare l’idea, c’è una collezione che si chiama F.1.G.A, sì, con il numero 1.
Un posto che si chiama Etnic Trend. Stupidità da tristezza, anzi disprezzo .
Niente trovo, niente mi scuote. Vedo che mi allontano, anzi sono uscita, lo vedo dagli spazi che mi
prendo, sempre più larghi, riservati fin qui al tempo di vacanza, dai pensieri che penso,
dagli amici nuovi che cerco, e trovo,
dal fatto che il libro che ho in mano non lo mollo neanche se compromette le ore di sonno e
le ruba al lavoro.
Sono venuti in negozio i ragazzi dell’Istituto Europeo del design, non in gruppo formale.
Vengono spesso, a vedere i mobili di Kobi, a parlare con me dei miei lunghi giri.
E’ sempre bello riceverli, mi fanno bene. Mi chiedono delle scelte che faccio, mi interrogano su quello che ho visto. Giochiamo al gioco del‘se ’.
Se volessi fare un nuovo negozio. Lo farei itinerante. Belle librerie ci sono in giro,
le migliori per me una a Palermo, una a Lecce. Si potrebbe girare il mondo così,
ci sono tanti posti speciali.
Se fossi voi, farei un lavoro del cuore, con i suoi bei paletti.
Se fossi Armani, gli dico, farei una collezione ispirata alla Cina maiuscola, raffinata
e totalmente informata. La farei produrre là. Otterrei molti scopi, l’attenzione la collaborazione
e, non ultima, la saturazione veloce dell’immagine. Mi sembrerebbe di avere lavorato su
parecchi fronti.
Ridiamo. Vanno via discutendo tra loro e lasciandomi piu’ leggera. Mi dico che, finchè riesco a parlare con me con i ragazzi e gli animali, mi sentirò toccata da una sorta di grazia.
E’ sempre così l’irrequietezza del cambiamento, lo so la conosco..
Non sarà domani, ma presto sì. Il cambiamento è sempre stato qualcosa che, mentre ne parli,
è già arrivato..
1:26:09 PM
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